Parola al dottor Faranda: L’Ortodonzia nei pazienti infantili.

Dottore a che età consiglia ai genitori di portare il proprio figlio dall’ortodontista?
Già a 4 anni va bene. 
Ma a 4 anni si può già intervenire dal punto di vista ortodontico?
Assolutamente sì. Ovviamente dipende dal tipo di malocclusione; se c'è una determinata problematica scheletrica, le linee guida prescrivono l’intervento già a 4 anni. Se mi accorgo che la crescita sta prendendo una strada sbagliata, è bene correggerla il più precocemente possibile. Per esempio penso ai bambini che sono affetti da terza classe scheletrica, ovvero mandibola più grande della mascella. Questo tipo di crescita sfavorevole ètanto più risolvibile tanto più precocemente la si affronta. Questo in pratica cosa vuol dire? Che dobbiamo lavorare sullo stimolo e sulla crescita del mascellare superiore, che è la parte saldata al cranio; Prima s’interviene e più le suture tra le ossa sono malleabili e più la terapia ortodontica riuscirà bene. Quindi, lo ripeto, con determinati tipi di malocclusioni anche a 4 anni si può iniziare. È chiaro che in questi casi non cominciamo con apparecchiature invadenti o fastidiose, dato che ovviamente il bimbetto ha 4 anni e l’ultima cosa che vogliamo è tormentarlo o renderlo fobico del dentista; però a volte si può, anzi si deve, iniziare a lavorare già così presto.

Secondo la sua esperienza, ogni 100 bambini quanti avranno bisogno dell’ortodontista?
96 bambini su 100, lo dicono i numeri. 
Praticamente tutti!
Esattamente; si stima che soltanto il 4% della popolazione mondiale abbia naturalmente un’occlusione corretta. Occlusione corretta vuol dire rapporto tra l'arcata sopra e l'arcata sotto in prima classe, quindi con un rapporto di chiusura corretto.
  
Secondo lei questa condizione è connaturata alla nostra specie o c'è qualcosa nelle nostre abitudini che sta causando un aumento dell’incidenza dei problemi ortodontici?
Essendo un medico sono un uomo di scienza quindi mi affido agli studi. A tal proposito c'è una doppia visione da tenere in considerazione; sicuramente siamo in una fase d'evoluzione del corpo degli esseri umani in cui la bocca sta subendo dei grossi cambiamenti, soprattutto tra gli abitanti dei paesi più industrializzati. Però è anche vero che le “abitudini viziate” influenzano in maniera clamorosa la crescita di cranio e bocca. Penso all’alimentazione con cibi morbidi ben oltre la prima infanzia, al succhiarsi il pollice o all’utilizzo prolungato di biberon e ciuccio. Tutte queste cose fanno sviluppare la bocca in maniera completamente sbagliata e quindi anche tutto il resto del viso si adegua a questo tipo di sviluppo. Per capirci la bocca invece di svilupparsi in ampiezza e in altezza si sviluppa soltanto in lunghezza. La prima cosa che si nota è un'incompetenza labiale, quindi il bambino non riesce a stare con la bocca chiusa, quindi avrà le labbra che non si toccano e di conseguenza respirerà con la bocca. A cascata avviene che le vie aeree superiori non si sviluppano e da lì tantissimi altri problemi. Se invece “intercetto” un bimbo piccolo con questa problematica riesco ad influenzarne positivamente la crescita ossea. Quindi la risposta è sì ad entrambe le opzioni, si tratta sia di fattori genetici-evolutivi sia di abitudini acquisite in ambito familiare.

Di solito si dice di portare il bambino dal dentista solo dopo che sono spuntati i denti definitivi... 
Purtroppo sì, ma ultimamente la tendenza sta cambiando. Andare dal dentista quando sono spuntati tutti i denti definitivi vuol dire che la parte inferiore del viso ha terminato la propria crescita. Quindi, se c’era una tendenza sbagliata nella crescita di una delle due arcate io non posso più fare nulla per stimolare l'osso a crescere in maniera corretta. A questo punto gran parte del problema è ormai “fissato” e si tratta di eseguire un intervento “di compenso”, il che vuol dire che scheletricamente si accetta la situazione e si persegue un'occlusione corretta e un'estetica gradevole. Se io invece intervengo prima, riesco a non dover fare compromessi e ad avere una situazione occlusale corretta anche dal punto di vista scheletrico. Per fortuna adesso riusciamo a visitare tanti bambini che ci vengono “spediti” dai pediatri sugli 8-9 anni, che è ancora un'età “accettabile” rispetto ai 14 anni, perché si riescono ancora a fare interventi sia ortopedici che funzionali.

Quando lei parla di rieducazione funzionale intende far fare esercizi ai bambini?
Sì, è una banale ma utilissima ginnastica coadiuvata ad alcuni bio-attivatori/bio-stimolatori. Noi abbiamo una visione del paziente come soggetto in crescita; io medico devo sì curare il problema presente in bocca, ma il problema in bocca è sempre l'effetto di una causa che va individuata. Per esempio se un bambino usa il ciuccio troppo tempo e troppo a lungo, avrà una “lingua che spinge”; allora io chiudo velocemente i denti davanti, ma se la lingua continua a spingere i denti davanti si riapriranno... Quindi bisogna sì allineare i denti, ma allo stesso tempo curare la causa della malocclusione e lavorare sulla parte miofunzionale del problema, cercando di rieducare la lingua con un apparecchio specifico e degli esercizi.

Di che tipo di apparecchio si tratta?
È un bio-stimolatore, per darle un’idea è un apparecchietto mobile che si utilizza alcune ore al giorno,  coadiuvato da alcuni esercizi molto schematici.

Che forma ha?
È simile al paradenti dei pugili, per intenderci. 

Ma i bambini lo indossano, lo accettano?
Assolutissimamente sì. Per questa terapia applichiamo un protocollo rigido che dura 1 anno, durante il quale cambiamo 3 di questi apparecchi, in sequenza a 0, 4 e 8 mesi dall’inizio della cura. Non è fastidioso o doloroso, non c'è ferro e non c'è nulla di particolarmente complicato, quindi la risposta dei pazienti è molto, molto buona. Poi è chiaro, il caso del bambino che non segue le indicazioni c’è sempre, ma la stessa cosa succede per i pazienti adulti. Però, a differenza di quello che si crede, mediamente il paziente più è piccolo più è bravo. Perché? Perché conosce ancora il valore dell'obbligo; i bambini vedono in noi il medico, colui che li cura, per loro siamo lo sciroppo che guarisce la febbre. Quindi sì, abbiamo un grande riscontro positivo.
C’è un paziente che ricorda con particolare piacere e di cui vorrebbe parlare prima della fine dell’intervista?
Assolutamente sì. Mi è capitato il caso di un ragazzino di 13 anni che si stava approcciando all'adolescenza con timidezza, non diceva una parola, teneva lo sguardo basso e quando gli ho chiesto di sorridere per la fotografia clinica durante la prima visita, gliel'ho dovuto chiedere per 5 minuti interi e poi alla fine lo ha abbozzato. Vede, il mio maestro di Ortodonzia mi ha insegnato che a fine terapia il dottore non deve guardare i denti del paziente, gli deve guardare gli occhi. Gli occhi all'inizio hanno paura a guardare la macchina fotografica, ma alla fine è come se il sorriso entrasse nello studio prima di lui. La soddisfazione di vedere un ragazzino che si trasforma completamente, e la madre che ti ringrazia come se gli avessi fatto il regalo più grande del mondo, per quanto mi riguarda, mi riempie il cuore ed è la cosa che mi spinge ogni mattina a cercare di curare più pazienti possibile.

Quant’è durata la sua terapia?
1 anno e 8 mesi perché era una terza classe; era un caso un po’ più difficile del comune e in più il paziente aveva già rifiutato l’apparecchio metallico. Quindi ho dovuto conquistarmi la sua stima, la sua fiducia, dopodiché siamo andati avanti... abbiamo “volato” senza problemi.
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